Ex C.S.I. e un’inestimabile eredità su cui costruire la pensione

Milano @Carroponte, 24 luglio 2014

 

Dei gran testi. Dei gran pezzi. Questo è ciò che ci rimane dei C.S.I.
Ferretti non c’è. Lo sostituisce Angela Baraldi, che ai tempi dei C.C.C.P. militava in una band bolognese, Hi-Fi Bros. Arto Lindsay quando venne in Italia con i Lounge Lizards si trattenne nel capoluogo emiliano, e già che c’era produsse il loro primo 12″.
Nel 1993, mentre i neonati C.S.I. registravano quel capolavoro di Ko de Mondo nel casale bretone Le Prajou, lei vinceva il Premio della Critica Mia Martini al Festival di Sanremo con A piedi nudi, brano interpretato l’anno precedente da Lucio Dalla, suo padrino, con il titolo de Il matto. Poi il cinema. Angela Baraldo forse è nota ai più per essere protagonista dell’abominevole Quo Vadis Baby? e della omonima serie tv Sky ispirata dal medesimo romanzo.
E ora nel ruolo di Ferretti, o meglio, nel ruolo di front-person dei nuovi C.S.I., anzi degli ex C.S.I., come più rispettosamente si fanno chiamare. Il ruolo di Giovanni Lindo Ferretti è ancora ininterpretabile, anche perché lui è vivo, ed ha intrapreso un percorso che lo colloca in posizione molto differente rispetto al Ferretti dei tempi del Consorzio. “Avrebbe più senso se Ferretti fosse morto” – suggeriscono dal pubblico [suggerisco io dal pubblico, per poter inserire questa citazione nel mio articolo attribuendola al pubblico…, ndr] – ma ci sarebbe stato comunque il rischio di dar luogo a una reunion in stile Il Grande Freddo: una rimpatriata nostalgica, introspettiva, e con la sobria eleganza di Glen Close, quindi forse meglio così.
“Fate campare questi quattro giovani pensionati”. Avrei voluto dirlo io, invece la frase è di Giorgio Canali, che lo ripete ben quattro volte, facendo precedere la frase dalla puntuale indicazione della precisa collocazione del banchetto del merchandising, dove poter comprare “magliette che fanno schifo e cd di merda” – anche questa avrei voluta scriverla io, ma ancora una volta Giorgio Canali… se mi avesse assicurato altrettanta schiettezza l’avrei fatto scrivere a lui questo articolo.

 

Esibizione tutto sommato gradevole, punto. Nulla di significativo, se non la conclusione del concerto, capolavoro patetico di drammaturgia comica.
Emilia Paranoica. I cinque salutano, escono di scena. Canali era stato chiaro: evitiamo che chiediate il bis, ve lo diciamo, è questo l’ultimo pezzo. Ma Maroccolo ha voluto disobbedire. Mentre tutti si avviavano all’uscita, con uno scatto al rallentatore ha riafferato il sigaro, e si è rimesso il basso a tracollo appoggiandolo sul suo ormai enorme pancione; Zamboni l’ha seguito annunciando: “Maroccolo ha un’idea!”.
Parte un riff di basso che tutto il pubblico riconosce. Tutti tranne i quattro sul palco. La nuova front-man chiede sottovoce “che brano è?”. Canali le dice “è Curami!”, lei si gira verso Zamboni e questi “Io sto bene io sto male”. La Baraldi nel panico ferma tutto e confessa al microfono: “chi mi dice è Curami, chi mi dice Io sto bene io sto male…”. Indecisione e imbarazzo. Si riparte, e il pubblico decide di aiutare gli stanchi interpreti accennando il cantato.. “Spara Jurij spara…”. I tre si guardano. Era questa. Mistero risolto, peccato che la vice-Ferretti non ne conosca il testo. Così si risuona senza troppa convinzione quella che era stata una riuscitissima M’importa na sega. I fonici, forse ormai avviliti, nel pieno del pezzo iniziano ad abbassare il volume gradualmente, in modo imbarazzante, fino a renderli quasi impercettibili. E così, impercettibili, lasciano il palco e il loro pubblico plaudente, devoto, clemente.
“Memoria che si fa progetto” è la frase che ha accompagnato sulla stampa la reunion, ma forse è proprio la memoria ciò che manca. E senza memoria, una reunion diventa poco più che una cover band. Una vacca da mungere. Una meritata pensione. • A.S.