Intervista agli Hobocombo, Forte Fanfulla, Roma

Forte Fanfulla, Roma. Suonano gli Hobocombo, band nata nel 2010 come tributo a Moondog. Il nuovo album, Moondog Mask, è appena uscito, e nel concerto il trio propone i nuovi brani. La sala non è gremita, come molto spesso accade per artisti underground, indipendentemente dalla qualità della loro proposta. Luci basse, puff cubici rossi in prima fila, a sinistra il bancone del bar. Fra il silenzio assorto dei presenti, synth scorrono a fiotti sopra la solida struttura ritmica.
Al termine del concerto abbiamo intercettato Rocco Marchi (Mariposa – electric guitar, korg ms-10, voice) e Francesca Baccolini (double bass) e abbiamo posto loro alcune domande. Da qui nasce questa intervista. Nel testo non troverete la distinzione su chi ha detto cosa, si è preso un po’ da uno e un po’ dall’altro; le risposte sono state sintetizzate in una macro-risposta complessiva Hobocombo. Un procedimento che tra le altre cose rimanda a un tema affrontato nell’intervista/dibattito, ma non vogliamo anticiparvi nulla, evitiamo didascalie. A voi l’intervista.

 

GLI HOBOCOMBO NASCONO COME TRIBUTO A MOONDOG, COSA VI HA AFFASCINATO DI QUESTO IMPORTANTE MUSICISTA E COME È NATA LA VOSTRA SCELTA?
Il trio si è formato a Verona. Eravamo tutti al Festival Verona Risuona, che si tiene per le strade della città. Ci siamo incontrati e abbiamo pensato di fare un progetto insieme. È nato tutto in modo estemporaneo. La dimensione della strada ci ha portato a pensare al musicista di strada per eccellenza, Moondog. Abbiamo riascoltato i suoi brani e li abbiamo rielaborati. Il risultato ci è piaciuto un casino, così abbiamo poi deciso di registrare anche un disco, Now that it’s the opposite, it’s twice upon a time. Il tutto è stato fatto nel giro di poche settimane.
Il nome Hobocombo deriva da Be a Hobo, uno dei primi brani che abbiamo rifatto. Combo perché siamo un trio jazz, nonostante mettiamo miriadi di synth…

PER QUESTO NUOVO DISCO VI SIETE CONCESSI PIU’ TEMPO?
Abbiamo lavorato per un anno a Moondog Mask, poi abbiamo registrato le tracce a Berlino. Siamo partiti con la Focus portandoci tutta la strumentazione per registrare. L’album è già uscito in Italia e il 31 di gennaio sarà distribuito in Europa dalla Broken Silence di Amburgo e in vinile da Tannen Records.

L’ALBUM È STATO SIN DALL’INIZIO CONCEPITO PER VINILE? LA BIPARTIZIONE IN LATO A E LATO B SUGGERISCE QUESTA IPOTESI…
Abbiamo subito notato che il nostro album avrebbe presentato due facciate. Metà dei nostri brani sono composti da noi, il resto sono cover di Moondog, più un pezzo di Wyatt.

COME MAI UN BRANO DI ROBERT WYATT? QUAL È L’ATTINENZA CON MOONDOG E CON IL VOSTRO CONCEPT?
L’intuizione originaria non fu nostra. Eravamo in trasmissione su Radio Città Fujiko e lo speaker, Pierantonio Pezzinga, mise in relazione la nostra musica a quella di Wyatt. Il suo programma radiofonico è legato al Rock in Opposition, così in quel momento si stavano mettendo insieme due ambiti musicali diversi: il free-jazz e il rock sperimentale elettro-acustico. Si comprendeva anche gente in fissa con i Gong o Hugh Hopper, gente che non avrebbe mai ascoltato un sassofono… L’accostamento ci convinse, così abbiamo inserito una rielaborazione di un brano di Wyatt nel nuovo album.

CON L’ALBUM AVETE PRESENTATO ANCHE UNA GUIDA ALL’ASCOLTO, UN’AUDIOGUIDA SU SPOTIFY (“A GUIDE TO THE MAGNETIC SOUND”). PERCHÈ QUESTA DECISIONE, SONO INFORMAZIONI NECESSARIE A CHI ASCOLTA PER APPREZZARE APPIENO IL CONTENUTO MUSICALE DELL’ALBUM?
È bello raccontare da dove traiamo ispirazione, anche con aneddoti… Ma sulla guida all’ascolto mi sono posto dei dubbi in questi giorni. Ci sono cose talmente belle che basta guardarle per costruirti tutto il tuo mondo, ma altre volte è anche bello avere racconti dettagliati su quelle cose, interessanti, ricche di particolari. Faccio un esempio. Sono andato a vedere il Pergamon Museum a Berlino. Bellissimo. Ad un certo punto, non so perché, abbiamo deciso di prendere l’audioguida…. un’audioguida! Un concetto biasimevole, roba per i vecchietti… ma era molto ben fatta, spiegava un casino di cose e mi sono divertito tantissimo. D’altra parte però mi ricordo della prima volta che andai a vedere l’Annunciazione del Beato Angelico, pensai subito “O porca..”. Ma la stessa estasi estetica la ebbi quando mi raccontarono che l’Orinatoio di Duchamp era firmato R. Mutt, il designer di quel modello di orinatoio. Ho provato in quel momento lo stesso brivido di quando fui davanti al Beato Angelico… L’arte, la musica, serve a far succedere delle cose, e a volte le cose succedono quando guardi semplicemente un’opera, altre volte quando ti raccontano, ti danno informazioni. Le nostre parole relative ai brani, la nostra guida, sono il nostro racconto del lavoro, è un po’ un nostro sfogo. Ora come ora, mi verrebbe voglia di non dire niente…
Posso raccontare un’altra storia? No, non ve la racconto, la dico a qualcun altro in radio…

RACCONTACI…
Tempo fa ho letto l’autobiografia di Ballard, lo scrittore diciamo di fantascienza. La sua infanzia ha una parte enorme nel suo racconto, la sua gioventù a Shanghai negli anni ’30, poi la guerra. Lì c’erano le Buick americane, i vestiti parigini, le spezie, i contadini tumulati sul bordo delle risaie. Doveva essere una roba spaziale questa ricchezza di stimoli per un bambino, sentire insieme il profumo del curry e di Chanel! Poi torna a Londra e trova la città bombardata, depressa. Ballard si era appassionato alle avanguardie, al surrealismo in particolare. Andò alla National Gallery, mille quadri da tutte le parti, come si usava a quei tempi. Guardava Tiziano, Raffaello, e si innamorava di ogni dettaglio cercando il surrealismo, faceva dei suoi percorsi personali, di immaginazione, costruiva un mondo simbolico. Un’esperienza di visione meravigliosa. Ecco, se ti abbandoni a quello che stai vedendo o ascoltando vedrai che delle cose ce le trovi.

ECCO, MA AL DI LA’ DELLE ESPERIENZE D’ASCOLTO CHE OGNUNO PUO’ FARE, L’AVER INSERITO UNA GUIDA ALL’ASCOLTO SUGGERISCE CHE CI SIA UN SENSO ALTRO DA COGLIERE NEI BRANI, UNA MAGGIORE COMPLESSITA’. LA VOSTRA È UNA MUSICA PIU’ ISTINTIVA O CONCETTUALE?
Non è questo l’intento, abbiamo realizzato la guida più per liberarci… Siamo certo artisti consapevoli. Non facciamo passeggiate lungo il mare aspettando l’ispirazione. Questa roba è una frottola romantica che non capita a nessuno, un mito di cui ancora oggi non riusciamo a liberarci. Ma c’è stato anche un periodo pesante in cui tutto il processo era soltanto il processo e anche di questo ancora ci sono le tracce… adesso abbiamo sia il mito dell’artista romantico che crea cose speciali che solo la sua sensibilità può produrre e sia tutta un’arte contemporanea legata al processo, al racconto di come ha fatto le cose. Ci sono molte residenze in cui gli artisti sono chiamati e pagati per restituire il processo artistico. Consapevoli sono tutti gli artisti, con diversi gradi di verbalità a supporto delle proprie creazioni.
Noi non siamo degli artisti concettuali, credo, onestamente. Ci interroghiamo sulle cose che sono intorno a noi e su quello che facciamo e mettiamo tutto in relazione, ma alla fine la sintesi è fatta comunque di intuizioni. Questo disco è fatto molto di accostamenti di cose molto distanti fra loro, che messe insieme producono altro che non esisteva prima. Questo può essere un processo creativo. Noi abbiamo raccontato come ci è venuto in mente di prendere i vari elementi.

UN PASTICHE POST-MODERNO?
La prima traccia del nostro disco, “Theme and Variations” è una commistione fra Moondog e le launeddas sarde registrate nel 1967 e raccolte in un’antologia curata da Roberto Leydi, etnomusicologo straordinario a cui dobbiamo tanto per la conservazione della cultura popolare. Le launeddas sarde dialogano benissimo con i nostri sintetizzatori, creando un cortocircuito, un processo diverso rispetto alla scrittura semplice di composizione del brano melodia-strofa-ritornello. Non è post-moderno. Questo è un ready-made, puro. Prendi due elementi, li accosti… fatto! Non è post-moderno. Certo potremmo parlarne e dimostrare sia che si tratti di post-moderno, sia che derivi da Duchamp, Le Grand Verre, ecc… ma in fin dei conti il procedimento è ready-made: prendi una cosa, decontestualizzi e la metti lì, fatto, finito! Mi sta un po’ stretto post-moderno. Non c’è bisogno di una lunga spiegazione per ascoltare i nostri brani, speriamo sia divertente per qualcuno. Non è concettuale, non è altrimenti indecifrabile. Quello che si manifesta è accessibile.

PASSIAMO A UN TEMA CHE CI STA MOLTO A CUORE IN QUESTO PERIODO. COM’È IN QUESTO MOMENTO FARE MUSICA IN ITALIA PER BAND INDIPENDENTI E COME INFLUISCE IL WEB?
È una fatica lavorare in italia. I musicisti indipendenti fanno grandi sforzi, ma il web non c’entra con questo, sono la crisi economica e il cambiamento sociale. Facebook serve tanto per la promozione, facciamo post tutti i giorni, mettiamo brani, diciamo qualcosa… Le trasmissioni live alla Radio funzionano ancora bene, sono divertenti ma forse non servono a nulla. Le web radio invece fanno un po’ più fatica.
I media oggi sono accessibili in mille maniere secondo percorsi personalizzati. Sul web ci sono proposte targetizzate che in futuro funzioneranno sempre meglio. Sulle radio generaliste ascolti musica di merda per un’ora sperando di beccare qualcosa di decente, che arrivi un pezzo che ti possa piacere. La direzione di qualunque medium, dalla webzine al giornale stampato, sarà orientata al web, ma bisogna aggiungerci la qualità di chi fa la selezione. L’ascoltatore non va lasciato solo ma incuriosito, e così superare Spotify o Deezer nella proposta di cose che siano interessanti. Bisogna avere una linea editoriale… e questo tra l’altro ritorna su quello che dicevamo in precedenza sul raccontare le cose, l’audioguida e il resto… Una selezione e un commento intelligente può appassionare le persone. Vale lo stesso per le etichette, le persone devono poter affidarsi alla loro selezione come avveniva una volta. Per questo siamo orgogliosi di uscire con Trovarobato.

E INVECE SUL FRONTE LIVE, COME STA CAMBIANDO LA SITUAZIONE MUSICALE IN ITALIA?
Negli ultimi dieci anni il pubblico è diminuito sensibilmente per un cambiamento culturale. Si dedica sempre meno tempo a se stessi, e per dedicarsi all’ascolto della musica ci vuole tempo. È diminuito il tempo che si mette a disposizione per svolgere attività culturali e sociali, per stimolare le proprie energie mentali. I meccanismi che creano socialità si sono fermati.
La questione economica. poi, è molto rilevante. I soldi pubblici dall’Arci e dalle Feste di partito non arrivano più come negli anni ’90. Questo ha segato le gambe. È un lungo processo iniziato negli anni ’70 per aggravarsi ai 2000. Ora siamo disperati. I pr sono disperati per il prezzo dei concerti, ma per sfumature oggettivamente molto basse: 2 3 o 5 euro. Le cifre si abbassano perché il pubblico non è disposto a spendere per ascoltare una band indipendente e poi ne spende 8 per un negroni o 5 per una birra scadente.
Al musicista non arrivano abbastanza soldi e spesso non gli è consentito ammortizzare i costi del viaggio: i promoter a volte pretendono la clausola che la band non suoni nel raggio di 100 km e questo riduce le possibilità. Bologna-Messina in macchina, non in furgone, sono 350-400 euro. Devi lavorare due giorni o tre per recuperare. Questa è la situazione attuale.

A.M.