Simona Gretchen

Un album conciso, intimo ed eloquente come Post-Krieg non necessita di troppe parole intorno. Non ci sono lacune da colmare per poterne godere appieno l’ascolto, anzi, più si impiantano discorsi, più si rischia di portare il lettore distante dall’essenza dell’album, avvolgendola con una coltre di aggettivi e giudizi inutili. Non è corretto interferire sull’espressione di un’individualità che ha fondato in sé le sue regole dopo un’attenta introspezione.
L’oggetto dello sguardo di Simona Gretchen non ci è dato esplorarlo se non di riflesso, attraverso la prospettiva e il canale da lei scelti. Il discorso musicale eretto è come un lungo piano-sequenza in soggettiva. Incuriositi, affascinati dalla fragilità dirompente (mi sia perdonato l’ossimoro, divenuto ormai noioso per gli abusi perpetrati a suo danno negli ultimi tempi), aspettiamo per trenta minuti un controcampo che ci sveli i lineamenti della sua figura, ma non giungerà mai. Un procedimento questo che alimenta la tensione interna già elevata di un’opera visionaria che in effetti non mostra nulla al di fuori di se stessa, se non con lenti deformate ad arte, talvolta completamente opache. Ad accrescere il senso di costrizione vi è inoltre una tonalità che resta invariata per l’intero album, che stabilisce sin da subito quel che sarà l’umore e il colore dell’album.
Dopo la breve introduzione (In) siamo già nel mezzo di un duro conflitto, anche se il titolo, Post-krieg, suggerisce che il conflitto sia già terminato. Nel successivo Hydrophobia si affaccia subito la melodia, cupa, a cui subentra il cantato salmodiante, un tempo marchio del compianto Ferretti. «La verità trascende i gesti», scandisce la voce, aumentando gradualmente la profondità, ed esponenzialmente l’intensità. Enoch è un triste walzer di violino e percussioni. Gradevole quanto intempestiva sospensione della tensione in un album così breve, che però riesce prontamente a riprendere il tiro con la seguente Pro(e)vocation e con la trilogia conclusiva (Everted part I, II, III), che vede forse proprio nell’ultima sua parte il passaggio più ispirato.
Post-krieg beneficia della produzione artistica di Lorenzo Montanà (Tying Tiffany) e la partecipazione di Paolo Mongardi (Zeus!, Fuzz Orchestra, Ronin), Nicola “Bologna Violenta” Manzan, Paolo Ranieri (Junkfood). Dopo il ben accolto esordio Gretchen pensa troppo forte e l’edizione limitata Venti e tre, questo lavoro discografico è una buona conferma per un’artista che nella scena underground italiana può e deve rivestire in qualsivoglia modo un ruolo centrale.
 

di Alberto Sartore