Michele Maraglino

I MEDIOCRI

La Fame Dischi, 2012

Cantautorato autogestito, canzoni brade poco educate all’arrangiamento ma che hanno qualcosa da dire. Michele Maraglino, nativo di Taranto classe 1984, esordisce per l’etichetta La Fame Dischi, da lui stesso fondata, con un lavoro il cui peso si misura a parole, quelle di testi aspri, poco indulgenti nei confronti di un nemico eterno che veste i panni della mediocrità. Pezzi più amari che amareggiati, cioè canzoni d’attacco, che hanno ansia di mettere la distanza di un dito tra chi accusa e chi è accusato, in questo rischiando a volte di disegnare troppo in fretta la controparte del torto. Ma anche quando il bersaglio è troppo facile i messaggi passano, e un po’ di sana incazzatura fa sempre bene. Tra pezzi più e meno riusciti, una voce incolta e un po’ roca racconta di una dimensione in cui, ancora, il privato è politico. Viene condannata l’ipocrisia di chi rinuncia nella veloce Verranno a dirti che c’è un muro sopra, dove ci sembrano aver colto nel segno versi come “Avere quindici anni e non aver lavoro/averne uno a trenta e non sentirsi il cuore”; “Avere sensi di colpa non ci serve a niente/a me serve il coraggio di sembrare pazzo/perché quando decidi che decidi tu/non devi aver paura di sembrare pazzo”. Ne fa il bis il seguito più ambiguo di Vita mediocre. Il terzo tempo si conclude con la sentitissima Taranto, pianto per una terra, la propria, che si è costretti ad abbandonare, e insieme denuncia di una situazione, come quella dell’Ilva acettata per necessità e taciuta per indifferenza. Gli anelli centrali del disco, i tre pezzi mediani, sono quelli che attingono al vissuto più intimo ma forse anche quelli più deboli, dove la veemenza contestativa non riesce a convertirsi in una riflessione più personale di uguale forza. Si ritorna in carreggiata con Lavorare gratis, invettiva contro lo sfruttamento del lavoro non retribuito, e con la controversa L’aperitivo, dove questo rito della società moderna viene demonizzato (qualcuno gli ha dato del “cattocomunista”) come specchio di una società che “pensa a divertirsi” (virgolette di chi scrive, che si rende conto per la prima volta della contraddittorietà dell’espressione). Si chiude con la distensione anestetica di Tutto come prima, in fondo, si sarebbe portati a pensare, come l’impressione che lascia questo album. Pure la volontà c’è, allora non resta che abbracciare un pensiero, musicale e non, più complesso e che si faccia carico di molte più sfumature.

Voto: 7

Fabrizio Papitto