Santobarbaro

NAVI

Cosabeat, 2012

Un gruppo che inserisce “lamiere” tra gli strumenti usati merita attenzione a prescindere. Ascolti Navi, e sei di fronte a dieci tracce liquide che si rincorrono l’una con l’altra in una sorta di flusso emotivo irregolare che sembra la trascrizione sonora di un sogno un po’ oscuro, un po’ inquietante, ma nonostante tutto morbido, quieto. L’atmosfera spettrale del disco è mitigata da una delicatezza d’esecuzione che è una sorta di filtro al buio nascosto sotto ogni pezzo: c’è qualcosa di pauroso sotto le tessiture d’archi e il cantato sussurrato, e ogni tanto sembra quasi di poterlo sentire. Gli arrangiamenti diluiscono o sottolineano il nucleo nero del disco, senza esagerare in una o nell’altra direzione, lasciando l’ascoltatore senza troppi indizi riguardo a dove il duo ha intenzione di portarlo. I pezzi finiscono senza preavviso, troncando di netto il treno emotivo innescato all’attacco e continuamente costruito e stratificato (“Senti la tempesta che cresce?”), le atmosfere cambiano radicalmente: una malinconia da tramonto si trasforma in un incubo ossessivo, delicato e infido. A me hanno ricordato Thom Yorke e il suo The Eraser, non so se a loro la cosa farà piacere o meno, ma certo c’è una comune sensibilità elettrointimista, una sorta di malinconia sintetica che ondeggia tra illuminazione e disperazione con una delicatezza spietata. Menzione particolare meritano i testi di Navi, che accompagnano i pezzi dilatandosi e contraendosi, essenziali e poetici. Suggeriscono e non svelano, eterei come le partiture che fiancheggiano. Dieci (nove?) navi dirette da qualche parte, dieci (nove?) piccoli viaggi in qualche ombroso, indefinibile angolo della coscienza. Rotte filiformi per chissà dove tessute con un’accuratezza crepuscolare e decadente. Forse vi porteranno dove non vorreste andare, ma come rinunciare? I Santobarbaro sanno quel che fanno, e lo fanno più che bene. Difficile dire di no ai lori incubi delicati, meglio farsi trasportare dalle navi, seguire il loro corso, in attesa di un approdo che non esiste e di un porto che è solo un nuovo inizio. Forse le navi non portano da nessuna parte, eppure è un piacere farsi cullare dalle loro onde inquiete. La perfezione di un viaggio senza inizio e senza fine, compiuto in sé. “Immobili come una nave dipinta/Su un oceano dipinto” (Samuel Taylor Coleridge).

Voto: 8

Marco Petrelli