Araba Fenice

ENTRA NEL TEMPIO

Loser’s Company Records – 2012

Sarà la serie di collaborazioni con Emergency, Amnesty, ANPI e manifestazioni varie contro la mafia, l’impegno nella produzione di liriche critiche e folkarnose, gli ammiccamenti al prog-rock e alle sonorità esotiche (dall’Hijaz all’Andalusia) impastati da mani di musicisti capaci (come da tradizione), ma l’Araba Fenice, formazione romagnola arrivata a cimentarsi con la seconda fatica discografica, sembra avere ogni cosa al posto giusto. L’Araba Fenice, sin dalla resurrezione dalle ceneri di Airon, (tra)passato monicker del defunto volatile, ha sin da subito avuto un ottimo riscontro di pubblico. Vi basterà dare un’occhiata su Youtube per verificare le indubbie doti dei Nostri nei loro live set.

Questo nuovo album non intende assolutamente scuotere nessun equilibrio nel mondo della ricerca musicale. Anzi, sembra volersi ergere a difesa della tradizione, nell’intento di difendere una memoria i cui bordi “effettivamente” – aggiungiamo noi – vengono troppo spesso attaccati da ogni frangia della classe politica ed intaccati dall’oblio di troppi cittadini. Operazioni di questo tipo rischiano di ricadere nel clichè, ma il caso dell’Araba Fenice è valido dal punto di vista artistico e sano da quello intellettuale: sicuramente non c’è nulla di cui qualsiasi ascoltatore debba scandalizzarsi nel ricordare episodi importanti del nostro immediato passato (come ad esempio la strage di Reggio Emilia del 1960, commemorata in “per i morti di Reggio Emilia”).
Pur non essendone un accanito divoratore, quello della scena folk italiana è un sapore che mi provoca un certo appetito, a maggior ragione se consumata nel suo locus amoenus, la fiesta. Il linguaggio musicale di “Entra nel Tempio”, si attiene alla dialettica tipica del Folk, e fino a qui non ci piove. Le liriche sono partorite da una doppia maschera: l’artista engagè ed il mercante di sogni. Ecco dunque che Orso e Libellula echeggia di Bandabardò, mentre in La coerenza, dove la batteria incalzante e gli arpeggi di chitarra si sposano con la dimensione sempiternamente onirica in cui la slide guitar è in grado di trasportarci, sembra di avvertire ispirazioni provenienti dai Mercanti di Liquore. La title track è mossa da un sospiro di vento d’oriente in perfetto stile Prog-rock anni ’70, un demonio che balla sulle corde di un bouzouki e picchia di cassa e charleston aperto. Ascoltatelo pensando a fuochi e vino nella notte. Capirete di cosa parlo.

VOTO: 7,5/10

Bernardo Mattioni