The Hacienda

Avere vent’anni in Italia oggi non ti rende la vita facile. Ma se imbracci una chitarra, ci canti su la tua giornata e ascolti il meglio della musica inglese dagli anni ’60 ad oggi, potresti anche non farci caso e ritrovarti su un palchetto un giorno e su un palco gigante coi tuoi idoli quello dopo. Perchè il “basta provarci” alle volte funziona con una semplicità quasi banale. E non solo a vent’anni. Loro sono i The Futureheads italiani ma se fossero nati prima i The Futureheads sarebbero stati i The Hacienda inglesi e così, forse, per Jam e Buzzcoks. Se il tempo è il bastardo che segna le sorti, la musica riavvolge i fili, ferma l’orologio e ti dà un’altra possibilità. E per la durata di un disco, le differenze non conteranno più. Oltre le dietrologie, i pregiudizi facili e le recensioni, ancora una volta lasciamo che sia la musica l’unica e l’ultima a parlare e a farci restare young & invincible.
Qualche chiacchiera con i toscani The Hacienda all’apertura del concerto di Milano in cui i Deep Purple sostituirono gli Oasis…

Aprite un festival dove non ci sono più gli Oasis e al loro posto suoneranno i Deep Purple…
Siamo felicissimi. E’ un’ottima occasione condividere il palco con band incredibili che hanno realizzato ottimi show. E anche senza Oasis ci sono Kasabian e Kooks!

Come vi siete incontrati e cosa vi ha spinto a formare una band?
Ci siamo incontrati perché frequentavamo tutti la Mula, un locale di Firenze. Ci piaceva la musica e abbiamo deciso di mettere su una band. Semplice, semplice.

Cosa avevate in comune, gusti musicali, passioni o…?
Gusti musicali in comune? Si si ma soprattutto le cose da bere. Scherzi a parte, eravamo grandi appassionati di musica, cose molto diverse che tuttora influenzano la band. Su tutte, il brit pop ha segnato un’impronta decisiva alla nostra formazione, band come gli Stone Roses i Blur sono pilastri. Anche il nostro nome, The Hacienda, è un chiaro riferimento al famoso club anni ’80 di Manchester. L’abbiamo scelto però anche perchè non suonava particolarmente diretto al brit pop o alle band inglesi, per chi non sa cosa fosse il club potrebbe anche suonare spagnolo e basta. Volevamo proprio questo dualismo…

Quindi in origine c’erano i vostri idoli, l’idea di suonare e l’Inghilterra come traino dominante…
Esatto. All’inizio era soprattutto questo, ma crescendo è naturale che inizi  ad ascoltare altra musica che non c’entra né ha niente a che fare con quella da cui sei partito.  Succede anche per tutto il resto no?

Il vostro ep Conversation less è stato di grande impatto, 6 pezzi veloci e di ottima fattura…che riscontri ha avuto?
Erano canzoni scritte nell’anno precedente,  sono pezzi diretti e molto semplici, scritti da me e William. Le nostre storie nascono dal quotidiano e dalle cose comuni, fotografano quello che ci succede, impressioni, incontri, momenti. Pur essendo italiani non rispecchiamo molto la nostra regione, la Toscana, a Firenze poi manca una vera scena musicale (che invece c’era negli anni 80).

La critica è sempre la stessa, non ne potrete più, immagino. Siete giovani, suonate smaccatamente inglesi e seppur con una pronuncia perfetta (e devo farvi complimenti). Non vi sembra un po’forzato, la “copia di” essendo italiani?
Un gruppo deve fare essere nel modo in cui gli viene spontaneo, è chiaro che qualsiasi cosa che ascolti può influenzarti. Troppo facile però darti addosso. Pensiamo per esempio al perché tutti i nuovi gruppi inglesi che sono abbastanza simili o a quello che succedeva negli anni’90 con i gruppi brit pop tutti come gli Oasis. Semplicemente perché non sperimentano o non sono innovativi vengono attaccati e il discorso sulla loro identità viene incentrato come una colpa.
Se ne fai una questione di DNA, ti rispondo pure che ho una zia a Manchester. Anche se al telefono mi parla ancora dialetto e di mancuniano non ha niente. In Italia c’è sempre questa critica ma nel resto d’Europa non se ne fanno un problema perché la musica è parte integrante della cultura.

A proposito di Manchester, siete finiti sulla loro radio XFM come una delle 3 band della settimana e siete stati intervistati da Andy Rourke degli Smiths, diventando quasi più noti in Inghilterra che in Italia…
XFM aveva un MySpace interno, ci siamo iscritti e ci ha contattati Clint Boon cantante degli Inspiral Carpets perché gli piaceva la nostra musica. Secondo lui eravamo “nel calderone” ma in quanto band con delle idee interessanti. Siamo stati in tour là a maggio e musicalmente c’è piaciuto molto, non si vive una situazione di tensione sempre alla ricerca del gruppo peggiore dell’altro invece di quello più”ganzo”.  Ci siamo sentiti a casa, soprattutto nell’Inghilterra del nord dove sono più genuini. Lì è come suonare a Foggia o a Riva del Garda.

C’è qualcuno con cui vi piacerebbe collaborare?
Abbiamo influenze abbastanza diverse, per alcuni potrebbe essere un artista americano per altri inglese. Ci piace Josh Rouse, un cantautore americano di cui sentiamo parecchio l’influenza anche se non emerge direttamente nelle nostre canzoni…potrebbe essere interessante lavorare  in studio con lui.

Che direzione sta prendendo la vostra musica?
Non ci stiamo ponendo punti di riferimento. Lavoriamo arrangiando i pezzi in maniera diretta e spontanea. E’ normale essere influenzati da quello che ascolti, chiaro…al momento ascolto vecchi dischi ma il disco dei Tom Violence di Arezzo è per me stato il migliore del 2009. Come disco straniero ho decretato quello dei Fleet Foxes…. Ah, poi ho comprato ieri Be Here Now di certi Oasis  (ride..)

Una cosa bella e una negativa successa finora …
E’ stato splendido fare 50 date da marzo a oggi, inclusa l’Inghilterra. Di negativo, niente. Se non facessi il musicista, in fondo potrei sempre fare il dj. Per ora stiamo bene qui, si resta in Italia. Forse andremo fuori a registrare il disco. Magari a Manchester o a Madrid, chi lo sa.
(Alessia De Luca)

Per saperne di più: www.myspace.com/thehaciendaband