Intervista a El Topo

Adriano Lanzi e Omar Sodano, strumentisti, stilisti del suono, artisti con la patente, filano pazientemente tessuti post, dilaniando la propria concezione d’arte e rendendola manipolabile alle collaborazioni strumentali più eterogenee. L’ensemble traccia una rotta avant, mescolando le atmosfere cupe del dub a passaggi solari di exotica sixties, il tutto eseguito con la pura maestria standard Jazz”. Così sul numero 31 di BF si esprimeva il buon Tum e le sue parole ci hanno incuriosito e stimolato al punto di voler approfondire la conoscenza del progetto El Topo.

Di seguito l’intervista avuta con Adriano Lanzi.

Brevemente, ti va di raccontarci la storia del progetto El Topo?
El Topo è una deriva, una specie di germinazione del duo che costituimmo Omar Sodano ed io anni fa (tra l’altro pubblicando un album su Klangbad, etichetta tedesca gestita dal tastierista dei Faust) e allo stesso tempo e il superamento di quel duo, per assecondare tutta la voglia di jazzrock e di ricchezza timbrica, di pienezza quasi orchestrale, che senza l’apporto dei nuovi membri Andrea Biondi (vibrafono e percussioni) e Francesco Mendolia (batteria) non sarebbe stata possibile. Abbiamo trovato l’etichetta discografica più interessante, tra quelle a loro volta interessate a noi, nella belga OFF che ha stampato il nostro “Pigiama Psicoattivo”, tramite myspace, che a mio parere resta, nella babele grottesca del “social networking” virtuale, ancora la piattaforma più efficace per i musicisti.

La vostra musica unisce rock, jazz, elettronica… le definizioni e le etichettature si sono sprecate… immagino che soprattutto per voi non abbia poi così importanza… ma se doveste usare parole e non note per esprimervi quali usereste?
Per esperienza, ti dico che sono l’ultima persona a cui chiedere di definire la mia musica. E’ vero che facciamo una musica strumentale che integra un arco di influenze molto ampio, cose molto diverse, elettronica, psichedelia, minimalismo. Però rockjazz ci può stare. Anche postrock, sebbene sia un’etichetta che detesto perché credo che non rappresenti nulla di preciso…

Quanto c’è di sperimentazione e improvvisazione nelle vostre canzoni?
C’è abbastanza di entrambi gli elementi. Componendo tendiamo sempre a lasciare il giusto spazio al momento improvvisativo, sia in studio che sul palco. Però facciamo del nostro meglio perché  “sperimentazione” non coincida con un fardello, con un peso e una difficoltà per l’ascolto. Molte volte si associa al termine sperimentazione il significato di “astrusità”; per noi significa semplicemente cercare qualche soluzione inedita, magari sfumata in un dettaglio dell’arrangiamento o della produzione, senza dimenticare la fruibilità. Con questo non vorrei dare l’impressione che la nostra musica sia una sorta di easy listening per musicofili, tutt’altro, ma non è nemmeno ascrivibile ai tanti parti in serie di musica scolasticamente indigesta e “sofferta”, o difficile per partito preso,  che viene – secondo me con una certa leggerezza – etichettata “experimental”.

Pensi che prima o poi inserirete dei testi all’interno delle vostre composizioni?
Io direi… perché no? Solo che non è semplicissimo,va pensata con attenzione. Chi ha sempre scritto musica strumentale non si improvvisa songwriter dall’oggi al domani. Però si possono trovare vari escamotage per avvicinarsi al mondo della canzone, e in generale, alla parola. Vedremo.

I vostri spettacoli dal vivo, all’elemento sonoro uniscono quello visivo. Com’è nato e come intendete continuare a sviluppare il sodalizio coi videoartisti Neumax?
Nel modo più naturale possibile, mi auguro. Neumax sono tre teste molto eclettiche, ciascuno di loro ha una sensibilità per l’immagine diversa, un po’ come il rapporto con il suono è diverso per ciascun membro di El Topo. La collaborazione è nata un po’ perché molti ci riconoscevano una qualità “cinematica”, un po’ visionaria della nostra musica,, un po’ perché proponendo musica strumentale e non canzone, come dicevamo, la videoproiezione è un elemento di spettacolo in più.

Quali sono i dischi che ti hanno spinto verso questo tipo di approccio sonoro?
Personalmente potrei dirti di molti dischi krautrock, i Faust, i Can, molto jazzrock inglese anni ’70 (dai Nucleus ai Soft Machine) certa No Wave (i primissimi Lounge Lizards per esempio…), poi di alcuni dischi di musica etnica, africana soprattutto, scampoli di musica contemporanea, senza esagerare; ho sempre cercato di ascoltare di tutto. Ma tutti i membri di El Topo hanno gusti molto eclettici, e ascolti diversi alle spalle. Fissarsi su un settore è la morte.

Qualche lavoro e/o gruppo che vorresti segnalare ai lettori di Beautiful Freaks?
In questi mesi, nonostante quello che ti ho appena detto, sto ascoltando poca musica altrui, sono molto concentrato su El Topo e sulla musica mia quindi mi manca il tempo. Però tra i dichi usciti da un anno a questa parte, per l’Italia mi piacciono l’ultimo lavoro di Giovanni Sollima (We were trees), poi La Padrona del Giardino di Carlo Muratori, un cantautore siciliano particolare e intelligentissimo, e mi ha conquistato il lavoro che ha fatto il buon vecchio Eugenio Finardi sui pezzi del russo Vladimir Vissotsky.

Progetti per il futuro?
E’ un momento di grande fermento, arriveranno delle novità ma per il momento preferisco non dirti nulla. Restate sintonizzati…
(a.p.)

Per saperne di più: www.myspace.com/eltopogroupwww.kickagency.com